Il rilascio, lo scorso 16 luglio, dell’analisi sistematica del Global Burden of Disease (GBD), dedicata all’impatto sulla salute dei consumi di bevande alcoliche, riscatta il valore del bere a basse dosi. Il GBD stima l’esito di danno e malattia attribuibili ad una determinata causa utilizzando metodologie di misura in rapporto alla popolazione, all’area geografica, all’età e ad altri determinanti di salute. Applicando il metodo ai dati del 2020 di 204 paesi suddivisi in 21 regioni, e osservati nelle varie classi di età, lo studio mostra che il consumo di bevande alcoliche su scala globale ha un impatto rilevante e differenziato. L’impatto rilevante si constata, come già si sapeva, a dosi elevate di consumo, con effetti dannosi crescenti e cumulativi in tutta la popolazione. L’impatto differenziato si coglie considerando soprattutto l’età e l’area geografica.
Si registra infatti che negli individui al di sopra dei 40 anni di età consumi limitati apportano un beneficio importante sulla salute cardiovascolare con effetti protettivi su infarto e ictus ischemico. Nella popolazione compresa tra i 15 ed i 39 anni emerge invece un potenziale di rischio maggiore non compensato da effetti protettivi.
“L’articolo di Lancet – dice Carla Collicelli, Vicepresidente dell’Osservatorio Permanente sui Giovani e L’Alcool – aggiorna e conferma sul piano degli indicatori globali l’esistenza della “curva a J”, la relazione che spiega come i consumi a basse dosi producano effetti di protezione da diffuse patologie cardiovascolari, protezione che per contro è assente nei non bevitori. La manifestazione di questo effetto negli over 40 – continua Collicelli – induce a pensare che la magnitudine dell’effetto protettivo è massima in un’età dove il rischio CV comincia a diventare importante”.
“Questo esito ottenuto a partire dai dati del 2020 costituisce anche una revisione significativa della posizione sostenuta nella precedente analisi sistematica sull’alcol, pubblicata nell’estate del 2018 sempre su Lancet. In quel contributo l’effetto protettivo delle basse dosi era ritenuto trascurabile e la raccomandazione conseguente era di attenersi alla regola: “rischio zero= consumo zero”. I nuovi calcoli tengono finalmente conto dei pesi delle diverse curve di rischio e bilanciano meglio i fattori di profilo di salute, età e provenienza geografica. Una conferma del lavoro rigoroso e delle critiche motivate che ricercatori italiani di alto livello (G. De Gaetano. S. Costanzo, A. di Castelnuovo) hanno da tempo documentato e che trova finalmente un riscontro anche nel GBD alcol 2022”.
“Invece, il maggior rischio nelle fasi iniziali della vita – spiega Michele Contel, segretario generale dell’Osservatorio Permanente sui Giovani e l’Alcool – si spiega sostanzialmente con la bassa incidenza delle patologie CV tra i giovani, unita all’incidenza drammatica dell’incidentalità stradale. Il primo fattore – prosegue Contel – amplifica l’esito di rischio (ma in modo puntuale e limitato sul bere eccedentario), mentre il secondo è pur sempre una causa indiretta e rimediabile con politiche e investimenti in sicurezza sui veicoli e sulla mobilità che dovrebbero tornare al centro dell’agenda politica. Benché non iniziare a bere possa essere un’opzione, è realistico considerare che in Occidente le bevande alcoliche facciano parte di un costume di distrazione e convivialità che si può praticare con consapevolezza e disciplina della moderazione”.
“L’enfasi – conclude Contel – sull’astensione totale sotto i 40 anni non tiene conto della tendenza crescente al declino del consumo giovanile in molti paesi, associata ad un riorientamento dei consumi verso bevande a tenore alcolico basso o nullo e ad una convivialità ispirata ai valori di sostenibilità e attenzione alla salute, senza invocare politiche restrittive”.